La volontà di chiudere la produzione di motori allo stabilimento di Bagnoli della Rosandra ha già avuto conseguenza pesanti sui conti Wartsila: 75 milioni di euro di perdite.
Lo rende noto la stessa azienda presentando i risultati dei primi nove mesi del 2022. In particolare, da gennaio a settembre di quest’anno il risultato operativo è diminuito di 232 milioni di euro a -62 milioni, rispetto allo stesso periodo del 2021. Questo dato include 200 milioni di euro di costi legati all’uscita di Wartsila dalla Russia e 75 milioni di euro di costi legati alla riduzione della produzione a Trieste.
Gli altri dati salienti del periodo gennaio-settembre 2022 registrano un aumento dell’acquisizione di ordini (+24%) e del portafoglio ordini (+17%), nonché una crescita del fatturato netto (+28%) a 4.07 miliardi di euro. «Nel terzo trimestre del 2022 è continuata l’incertezza sullo sviluppo economico e sulle tensioni geopolitiche. L’intensificarsi dell’inflazione dei costi, le perturbazioni prevalenti nelle catene di approvvigionamento, l’inasprimento delle politiche monetarie e il difficile contesto macroeconomico stanno creando turbolenze nell’ambiente commerciale globale. Nonostante le difficili condizioni di mercato, siamo riusciti a incrementare nettamente il nostro portafoglio ordini» ha commentato il presidente e amministratore delegato di Wartsila Group, Håkan Agnevall.
Per quanto riguarda la questione dello stabilimento di Trieste, il Gruppo, che ha recentemente cambiato vertici della società italiana, sta rivedendo le procedure che porteranno al licenziamento di 451 lavoratori. La decisione, obbligata, è diretta conseguenza della sentenza con la quale il giudice del Lavoro del Tribunale di Trieste ha accolto il ricorso delle organizzazioni sindacali, che contestavano la procedura stessa. Al contempo, senza dichiarazioni ufficiali, sembra che prosegua alacremente la ricerca di un possibile sostituto per lo stabilimento, sia esso attivo nella produzione di motori (soluzione non gradita a Wartsila) che in altri settori industriali. L’obiettivo – di ministero dello Sviluppo economico e sindacati – resta quello di evitare per quanto possibile la perdita di posti di lavoro che, sommando ai diretti quelli dell’indotto, potrebbero arrivare a un migliaio.